#3 - Attacco o Fuga? Come lo Stress Influenza la Gestione delle Emozioni
Non è semplice gestire le proprie emozioni nei momenti di forte stress. Attacco o fuga sono le due reazioni tipiche del nostro cervello: entrambe, però, hanno numerosi aspetti negativi.
Ciao tu!
Anche oggi il post su come decidere quanto condividere della nostra vita privata verrà scritto poi 😅. Nell’ultimo periodo mi sono ritrovata a fare i conti con la difficoltà di gestire le emozioni sfidanti come rabbia, frustrazione e ansia. A dire il vero, più che altro a dover gestire i comportamenti impulsivi di altre persone connessi a queste emozioni.
Non è facile gestirle è vero; ne sono più che consapevole perché in passato ho avuto grosse difficoltà anch’io. Una delle ragioni per le quali a mio parere non è semplice gestirle è che viviamo in una società che ci vuole con il sorriso sulle labbra in ogni occasione; una società che ci insegna che dalla rabbia possono venir fuori reazioni violente e socialmente inaccettabili e che quindi emozioni “negative” come questa è meglio che vengano represse.
In realtà non esistono emozioni positive ed emozioni negative. Le emozioni sono emozioni e basta: ci attraversano, ci raccontano qualcosa di noi se le sappiamo ascoltare e persino quelle considerate “negative” possono avere degli effetti positivi se gestite nel modo corretto. Questo magari lo approfondiremo in un altro post.
Oggi vorrei concentrarmi proprio sulle basi, ovvero sui meccanismi automatici di attacco e fuga che il nostro cervello mette in atto quando si sente minacciato. Penso che esserne consapevoli sia il primo passo da fare per riuscire poi ad attivare delle modalità più efficaci nella gestione delle proprie emozioni.
Iniziamo quindi.
Il ruolo dell’amigdala nella gestione delle emozioni
Il nostro cervello è una macchina complessa frutto di millenni di evoluzione che ne hanno sostanzialmente modificato non solo la forma ma anche le funzioni. La neuroplasticità, ovvero la capacità del cervello di modificarsi, ci ha garantito non solo la sopravvivenza nei primi periodi della vita sulla Terra ma anche l’acquisizione successiva di abilità più complesse come il ragionamento.
C’è un però.
Alcune delle abilità tipiche del cervello degli uomini preistorici però si sono rivelate in quel periodo talmente importanti per la sopravvivenza, che nel corso dei millenni si sono cristallizzate e sono giunte fino a noi oggi. Per di più, spesso continuiamo a utilizzarle senza esserne consapevoli in modo più o meno vantaggioso in determinate situazioni. Una di queste è rappresentata appunto dai meccanismi automatici di risposta alle minacce.
Una delle strutture chiave coinvolte in questo processo è l’amigdala, la parte del sistema limbico che elabora le emozioni e innesca reazioni immediate in caso di pericolo.
Milioni di anni fa, questa risposta era cruciale per proteggersi dai predatori e da altri rischi fisici.
Oggi, però, la maggior parte delle minacce che affrontiamo sono di natura psicologica: scadenze, conflitti interpersonali, insoddisfazione personale.
Raramente sono questioni di vita o di morte.
Nonostante ciò, il nostro cervello continua ad attivare quegli stessi meccanismi primordiali di attacco o fuga e lo fa, quindi anche quando non sono davvero necessari. Il risultato è che se non impariamo a gestirli nel modo corretto e non ne siamo consapevoli, quando queste reazioni emergono in contesti in cui non sono realmente necessarie rischiamo di comportarci un po’ come uomini e donne delle caverne. 🤐
Oddio, l’ho scritto davvero.
Detto in modo un po’ più polite, l’attivazione di questi meccanismi automatici ci può portare a una gestione poco efficace delle emozioni più complesse e sfidanti come rabbia, ansia e frustrazione.
Questione di Chimica
Avrei dovuto studiare chimica, me lo ripeto continuamente. Se l’avessi fatto forse oggi avremmo tutti a disposizione dei rimedi fantastici al male di vivere ⚗.
Ah. “Esistono già e si chiamano droghe”, mi fanno notare.
Vabbè, scherzi a parte, torniamo al nostro ragionamento.
Secondo le teorie del fisiologo Walter Cannon (1932), il nostro sistema nervoso autonomo reagisce allo stress attivando il sistema simpatico, che rilascia ormoni come l’adrenalina e il cortisolo.
L’adrenalina (o epinefrina) viene rilasciata dalle ghiandole surrenali per preparare il corpo a una risposta immediata di attacco o fuga. Quando viene rilasciata i suoi principali effetti sul cervello includono:
Aumento della vigilanza: migliora la nostra capacità di percepire minacce.
Riduzione del pensiero razionale: si inibisce temporaneamente in noi la funzionalità della corteccia prefrontale -la parte del cervello responsabile del ragionamento e del controllo degli impulsi-, rendendo le nostre reazioni più istintive.
Il cortisolo, invece, è l’ormone dello stress a lungo termine. A differenza dell’adrenalina che agisce nell’immediatezza il cortisolo ha un effetto più lento e duraturo. Se rilasciato in eccesso può avere conseguenze negative sul cervello. Può provocare, in particolare:
Alterazione della memoria e dell’apprendimento: elevati livelli di cortisolo possono danneggiare l’ippocampo, la struttura cerebrale coinvolta nella memoria.
Aumento dell’ansia: una produzione eccessiva di cortisolo è associata a disturbi dell’umore perché riduce la produzione di serotonina e dopamina.
Difficoltà nel controllo emotivo: il cortisolo influisce sulla corteccia prefrontale, rendendo più difficile prendere decisioni razionali e gestire le emozioni in modo equilibrato.
Il rilascio di questi due ormoni da parte del cervello ci prepara al pericolo esprimendo due risposte principali:
Attacco: affrontiamo la minaccia in modo diretto, con aggressività o difesa.
Fuga: evitiamo la situazione per ridurre il disagio.
Queste due reazioni erano essenziali per la sopravvivenza dei nostri antenati di fronte a pericoli reali, come animali selvatici o minacce fisiche.
Oggi, però, come abbiamo visto, le minacce derivano spesso da fattori psicologici come problemi lavorativi, relazionali o emotivi ed entrambe queste risposte possono diventare disfunzionali.
Non c’è, ovviamente, una reazione uguale per tutti. Alcuni di noi per indole personale, ambiente di vita ed educazione ricevuta tendono ad avere una reazione di attacco, altri invece, di fuga. Per quanto mi riguarda, mi appartiene di più la seconda modalità.
Attacco: quando le emozioni diventano esplosive
Oh. Iniziamo dalle questioni esplosive. 🧨
Una reazione di attacco in presenza di emozioni come rabbia, ansia e frustrazione tende a manifestarsi con comportamenti impulsivi e difensivi, spesso diretti verso gli altri o verso sé stessi.
Rabbia → Attacco come Difesa o Aggressività
La rabbia è un’emozione primaria che nasce quando percepiamo un’ingiustizia o una minaccia ai nostri bisogni. Se tendiamo a reagire nella modalità di attacco, possiamo manifestare:
Aggressività verbale: alziamo la voce, interrompiamo, critichiamo duramente o insultiamo.
Aggressività fisica: compiamo gesti impulsivi come sbattere oggetti, dare pugni su un tavolo o, nei casi estremi, mettiamo in campo comportamenti violenti.
Controllo e prevaricazione: tentiamo di imporci sugli altri per affermare il nostro punto di vista o mantenere il controllo della situazione.
👉 Effetto negativo
L’attacco in risposta alla rabbia può portare a conflitti relazionali, isolamento e difficoltà a riconoscere i veri bisogni emotivi.
Ansia → Attacco come Tentativo di Controllo
L’ansia deriva dalla paura dell’incertezza o di un pericolo percepito. Invece di evitare la situazione (fuga), alcune persone reagiscono attaccando per cercare di riprendere il controllo. Questo può tradursi in comportamenti come:
Eccesso di critica e perfezionismo: si diventa ipercritici con sé stessi o gli altri per ridurre l’ansia legata agli errori.
Impulsività e iperattività: si prendono decisioni affrettate, ci si sovraccarica di impegni o si parla in modo frenetico.
Dominanza sociale: si tenta di controllare il comportamento degli altri per ridurre il senso di insicurezza.
👉 Effetto negativo
L’attacco in risposta all’ansia può creare tensione nelle relazioni e aumentare lo stress invece di ridurlo.
Frustrazione → Attacco come Sfogo di Tensione
La frustrazione nasce quando incontriamo ostacoli nel raggiungere un obiettivo o soddisfare un desiderio. La reazione di attacco in questi casi può tradursi in comportamenti come:
Scatti d’ira improvvisi: si hanno reazioni esagerate a situazioni di per sé gestibili.
Svalutazione degli altri: si attribuisce la colpa agli altri per il proprio fallimento o disagio.
Autodistruzione: si mettono in atto comportamenti impulsivi dannosi come le abbuffate emotive, le dipendenze o l’automortificazione.
👉 Effetto negativo
L’attacco derivato dalla frustrazione può portare a senso di colpa, stress cronico e difficoltà nel trovare soluzioni efficaci.
Esistono delle strategie oggi che possiamo mettere in atto per gestire una reazione emotiva di attacco e mitigarne gli effetti. L’aspetto più importante è imparare a riconoscere quando sta per accadere; individuare i propri trigger e dare un nome all’emozione che cista attraversando.
Aiuta, poi, imparare a usare tecniche di respirazione o prendersi una pausa prima di rispondere.
Si può, poi, canalizzare l’energia in modo più costruttivo: praticando sport, scrivendo o svolgendo attività creative per sfogare la tensione senza danneggiare sé stessi o gli altri.
Fuga: soffochiamo tutto il soffocabile
Presente. 🖐 Sono cresciuta in una famiglia in cui era più importante illudersi e far sembrare che tutto andava bene piuttosto che affrontare apertamente i problemi. Da adulta ho imparato che anche questa modalità di gestione delle emozioni è profondamente errata.
Andiamo con ordine.
Una reazione di fuga in presenza di rabbia, ansia e frustrazione si manifesta attraverso l’evitamento, la chiusura emotiva e la procrastinazione. È un meccanismo di difesa che ci porta a sottrarci al problema anziché affrontarlo.
Vediamo come si configura nelle diverse emozioni.
Rabbia → Fuga come Repressione o Evitamento
Come abbiamo visto prima, proviamo rabbia quando sentiamo che uno dei nostri bisogni o i nostri confini vengono in qualche maniera violati. Di per sé, quindi, non è un’emozione negativa. Quando si reagisce con meccanismi di fuga, invece di esprimere questa emozione in modo sano si tende a soffocarla. Come?
Reprimendola: nascondendola o minimizzando il proprio malessere per paura del conflitto.
Evitando il confronto: fuggendo da discussioni difficili, rimandando conversazioni importanti.
Sopportando troppo a lungo: tollerando situazioni ingiuste o relazioni tossiche senza imporre limiti.
👉 Effetto negativo
Reprimere la rabbia porta a tensione accumulata, somatizzazione (mal di testa, tensioni muscolari) e scoppi emotivi improvvisi quando la pressione diventa insostenibile.
Ansia → Fuga come Paralisi o Distrazione
Abbiamo visto che l’ansia nasce dalla paura dell’ignoto o dal timore di non essere all’altezza. Quando si attiva la reazione di fuga, si possono attuare comportamenti come:
Procrastinazione: rimandare compiti o decisioni per paura di fallire.
Chiudersi in sé stessi: evitare situazioni sociali, rifiutare il confronto con gli altri.
Ricorrere a distrazioni compulsive: usare social media, binge-watching o il cibo come meccanismi di evasione.
👉 Effetto negativo
Evitare la fonte dell’ansia non la elimina ma la rende più opprimente. Più si scappa, più il problema sembra ingestibile, alimentando un circolo vizioso di evitamento e stress.
Frustrazione → Fuga come Rinuncia o Disimpegno
Abbiamo detto che la frustrazione emerge quando non riusciamo a raggiungere un obiettivo o ci sentiamo impotenti di fronte a una situazione. Se attuiamo delle reazioni di fuga dalla frustrazione possiamo manifestare comportamenti come:
Rinuncia prematura: abbandonare un progetto o un sogno per paura di fallire.
Bassa autostima: convincersi di non essere capaci, evitando nuove sfide.
Senso di apatia: perdere la motivazione e il piacere nelle attività quotidiane.
👉 Effetto negativo
La fuga dalla frustrazione impedisce la crescita personale e il superamento degli ostacoli, portando a insoddisfazione cronica e senso di fallimento.
Anche in questo caso possiamo mettere in campo oggi delle abilità che ci permettono di attenuare gli effetti negativi della reazione di fuga dalle emozioni. Il primo passo, anche in questo caso è diventare consapevoli dell’evitamento. Ci si può riuscire chiedendosi, per esempio, se si sta evitando si affrontare una determinata situazione per paura o perché non la si ritiene effettivamente importante.
Un altro modo, consiste nell’affrontare le emozioni gradualmente: piccoli passi sono più sostenibili di cambiamenti radicali.
Infine, può essere di grande aiuto anche confrontarsi con una persona di fiducia.
Esiste un equilibrio?
Penso che la risposta dipenda molto dal significato che si dà alla parola “equilibrio”. Se si considera l’equilibrio come una situazione di estrema e perenne stabilità mi viene di rispondere “no”. Se si considera l’equilibrio, invece, come uno spazio in cui ci si può concedere di stare un po’ di là e un po’ di qua dalla retta via allora sì, esiste. Gestire le emozioni proprie e altrui non è mai semplice.
Imparare a riconoscere il proprio schema di reazione alle emozioni però è il primo passo per gestire meglio anche quelle più sfidanti e complesse. Aiuta anche a riconoscere tali modalità negli altri semplicemente osservandone il comportamento e provando a capire cosa succede.
Come abbiamo visto le reazioni di attacco e fuga sono risposte del tutto naturali ma oggi non sempre efficaci. La vera sfida sta nell’imparare a rispondere con sempre maggiore consapevolezza invece di reagire con impulsività.
Un abbraccio,
Valentina